di ALESSIO LIQUORI

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115 sono i Km di piste ciclabili nel Comune di Roma (dato 2008). Nel 2000 erano solo 30,6 Km .
Un bell’incremento! Finalmente anche Roma investe sulla mobilità gentile, penserà qualcuno. Le cose, invece, sono più complesse. Senza negare i grandi progressi compiuti nel giro di pochi anni, a fronte della totale disattenzione alla questione della ciclabilità della nostra città per molti decenni, Roma resta una delle città meno ciclabili d’Italia e una delle Metropoli meno “a misura di ciclista (e di pedone)” d’Europa.
Proviamo a ragionare schematicamente, ma con rigore, su alcuni punti.
L’uso della bicicletta nella cultura comune si è evoluto da mezzo di trasporto quotidiano individuale a mezzo per il tempo libero, a causa della motorizzazione di massa che ha accompagnato l’aumento del reddito. Un cambiamento di costume avvenuto repentinamente, come tanti altri, durante il boom economico. Oggi, faticosamente, si cerca di riconsegnare la bicicletta al suo uso primordiale, per contribuire a combattere la congestione delle nostre città, che comporta drammatici costi sociali ed economici (salute, inefficienza economica, consumo del territorio, attrattività turistica, ecc.). Roma è un esempio lampante di questa parabola culturale: dalla città di “Ladri di biciclette” a quella di “Un borghese piccolo piccolo” (ricordate la memorabile scena iniziale di Alberto Sordi che va in ufficio in auto?) o di “Fantozzi” (il celeberrimo salto sul bus da un balcone che affaccia a pochi centimetri dalla Tangenziale est…) in circa vent’anni.
Lo sviluppo di piste ciclabili è quindi un indicatore solo parziale, e un po’ distorto. Nello sviluppo delle piste di Roma non si è riusciti a definire un disegno organico, che inserisse la bicicletta nel progetto complessivo di evoluzione della mobilità che è stato prodotto, anche con risultati notevoli, a partire dagli anni ’90. Nonostante la realizzazione delle ciclabili sia stata sempre inserita negli strumenti di programmazione urbanistica e del traffico , occorre ammettere che, sul campo, le realizzazioni concrete consegnano una mappa della ciclabilità ancora molto frammentaria, scarsamente integrata, insufficiente. Una mappa di piste soprattutto a servizio del tempo libero, e non dell’uso della bicicletta per gli spostamenti quotidiani.
Ma il dato sulle ciclabili è parziale e distorto soprattutto perché la ciclabilità di una città non si può misurare solo in base al kilometraggio di piste ciclabili disponibili. Le città più ciclabili d’Europa (o anche le città piccole e medie più ciclabili d’Italia, come quelle emiliane e romagnole) spesso non ostentano dati eclatanti sulla dotazione di piste ciclabili. Sono città in cui è il contesto ordinario e generale della mobilità urbana a favorire l’uso della bicicletta (e dei piedi… pedonalità e ciclabilità sono fortemente connessi, ovviamente). Solo una questione di cultura? O di dimensioni ridotte e condizioni urbanistiche fortunate? L’esempio ricorrente di Londra sembrerebbe smentire questi facili alibi fatalisti.
C’è un elemento di fondo che queste città affermano e su cui Roma continua a tergiversare, con scarso coraggio e poca lungimiranza: non c’è spazio per il trasporto pubblico e per la mobilità gentile se non si scoraggia, con forza, l’uso dell’automobile. Lo spazio urbano, soprattutto quello centrale, deve affrancarsi dalle automobili. Ci vuole un progetto robusto di divieti (fisici, non solo amministrativi!) e di disincentivi economici. Bisogna ridisegnare la città a favore degli uomini e della loro biomeccanica. Altrimenti possiamo rassegnarci alle tragiche statistiche sui pedoni e sui ciclisti uccisi e feriti dalle auto nel territorio di Roma. Un numero che avrebbe tranquillamente potuto aprire questa riflessione, ma si è voluta evitare una eccessiva drammatizzazione, così in voga nello spazio della politica e dell’informazione di oggi.
La questione della mobilità, oggi, è al cuore della questione sociale. Le città come Roma sono il teatro socioeconomico di questo conflitto che divide soggetti deboli (ragazzi, anziani, poveri, donne) e soggetti forti (adulti, maschi, ricchi) con una linea netta, lungo la quale si confrontano modelli di vita, di consumo, di convivenza affatto diversi: umani, sostenibili e ugualitari da una parte, disumani, prepotenti e insostenibili dall’altra.
A noi la scelta.

  1. Per questi dati, per molti altri e per un’analisi davvero ricca ed esauriente si veda il recentissimo rapporto (dicembre 2010) Indagine sulle piste ciclabili a Roma, curato da Federico Tomassi per l’Agenzia per il controllo e la qualità dei servizi pubblici locali del Comune di Roma (www.agenzia.roma.it).
  2. Il vigente Piano generale del traffico urbano (PGTU, DCC 84/1999), il Piano di azione ambientale (DCC 121/2002), il successivo PGTU approvato dalla Giunta ma non dal Consiglio (DGC 87/2005), le Norme tecniche di attuazione del Piano regolatore (DCC 18/2008). Recentemente, in attuazione del Piano strategico per la mobilità sostenibile (DCC del 16 marzo 2010, n. 36), il Comune di Roma per la prima volta si è dotato di uno strumento di indirizzo e programmazione nell’ambito specifico della mobilità ciclabile, denominato Piano quadro della ciclabilità (DGC del 24 marzo 2010, n. 87). Qualcosa si muove…

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