di EUGENIO PALMIERI

“Il potere dei soldi, tanto combattuto dalla Resistenza, non è mai stato così grande, arrogante, egoista con i suoi stessi servitori, fin nelle più alte sfere dello Stato”. È un breve passaggio di un libro scritto da un giovane signore di 93 anni, fuggito fortunosamente da Buchenwald, Stephane Hessel, dal titolo “Indignatevi”. Un titolo forte e secco, un’esortazione gridata serenamente che viene in mente in questi giorni in cui giornali e televisioni sono stracolmi del cosiddetto caso P4.
Nessun moralismo anche se qualcuno opta per la sponda opposta e vorrebbe far passare il tutto come un racconto a metà strada fra il gossip e il trionfo del lobbismo più ortodosso. Insomma una storia professionale di successo incappata nei soliti eccessi della solita magistratura. Un affresco che invece merita una qualche riflessione perché riaffiora proprio quando le recenti elezioni amministrative hanno messo in luce la volontà di milioni di italiani di riappropriarsi di uno spazio collettivo, di un impegno a scendere in campo, di uno sforzo per un cambiamento finora precluso dalla lunga e ormai fatiscente stagione berlusconiana. E al di là degli aspetti sui quali si arrovellano solitamente i cultori della lana caprina, ovvero se certi comportamenti si traducano in reati – a questo si interessa e provvede la giustizia – vale la pena soffermarsi su un film in parte già visto e che ricorda molto il funerale della Prima Repubblica e del resto i nomi di alcuni interpreti sono gli stessi nonostante i lustri trascorsi.
Nomi noti alle cronache per antiche e cattive consuetudini e personaggi di nuovo conio nell’affarismo, nell’intreccio tra soldi e carriere in barba alla strombazzata e rivendicata meritocrazia, in un cocktail pericoloso che coinvolge gangli della vita politica, economica e sociale. È la governance delle cricche dove non c’è neppure più il talvolta strumentalizzato nesso con il costo dei partiti, bensì i capi che distribuiscono prebende e risorse solide alla squadra che li ha spinti fino alla vetta. Vale per le grandi aziende dove lo Stato è rimasto azionista di riferimento, vale per alcune importanti municipalizzate con un controllo a tappeto del tessuto economico dove le cricche sono al di sopra e al di fuori della crisi economica. Il caso ha voluto che negli stessi giorni dell’esplosione della P4 l’agenzia Moody’s abbia messo sotto osservazione il debito di molti soggetti pubblici italiani tra cui l’Eni, l’Enel, Terna, le Poste e una miriade di enti locali.
I meccanismi che portano all’ascesa dei cosiddetti grandi manager – o meglio resi grandi soprattutto, come s’è visto, dai pingui budget di comunicazione – e che sono stati fotografati dalle intercettazioni sono al di fuori della filosofia del mercato, ovvero di qualsiasi logica meritocratica ma rispondono più che altro a ritorni redistributivi all’interno del mondo che li ha partoriti. Nessuno misura più seriamente le loro performance aziendali con il rischio di creare a breve altri terremoti tipo Alitalia: non lo fa l’azionista che potrebbe avere vantaggi più consistenti ma non lo fanno nemmeno le forze di opposizione talvolta succubi di cricche allargate. Andrebbero ripristinate regole stringenti e indicazioni chiare solo se la politica non avesse abdicato di fronte ad un qualsiasi interesse per una decente strategia industriale. Come è possibile che si lasci un manager a gestire praticamente a vita l’immenso potere di una multinazionale con tutti i limiti e i guasti che produce per forza di cose l’inamovibilità? O il passaggio dello stesso manager da una poltrona all’altra purché preservi la continuità della specie? Se non verranno date risposte drastiche al fenomeno degenerativo che la P4 ha evidenziato si avrà il distacco definitivo tra imprese pubbliche e cittadini, tra stipendi top e bollette delle famiglie.
Nella vicenda “gelliana” c’erano gli affari ma soprattutto un disegno politico antidemocratico e per molti aspetti realizzato dal centrodestra in questi 17 anni; in quella attuale c’è molto profumo di denaro per sé utilizzando le risorse di tutti. Anche questo è un modo, occulto, di mettere le mani nelle tasche degli italiani.

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