di MARCO CAUSI

Passano gli anni, e con essi i Sindaci e le maggioranze pro tempore locali e nazionali, ma il problema di Roma resta sempre lo stesso: come conciliare la cura “normale” del suo complesso territorio urbano, e dei servizi e delle infrastrutture che ne determinano la qualità, con le caratteristiche indiscutibilmente “speciali” della città. Una specialità che deriva a Roma dall’essere capitale della Repubblica, ma non solo: nessun’altra città italiana gestisce flussi di pendolarismo così ingenti (600 mila movimenti giornalieri), nessun’altra ha un carico antropico così rilevante da parte di una enorme popolazione fluttuante (turistica, di affari, religiosa, sportiva, di studio, ecc.), nessun’altra ospita dentro di sé un altro Stato, le istituzioni internazionali impegnate nella lotta alla fame nel mondo e tre interi circuiti di rappresentanze diplomatiche, presso l’Italia, presso la Santa Sede e presso la FAO.
Nel 2001 la Costituzione indicò come soluzione una sorta di “specialità” del governo locale romano, da regolare con legge statale. A undici anni di distanza siamo ancora in mezzo al guado, in attesa di riempire di contenuti concreti questo ordinamento speciale, che non può certo concludersi con il – peraltro discutibile – cambiamento dei loghi sulla carta intestata del Comune, sulle auto della polizia municipale, sugli autobus dell’Atac.
Il secondo decreto su Roma capitale, che il Parlamento sta esaminando, può essere l’ultimo treno utile prima che la pratica venga nuovamente archiviata, complice la grave crisi economica e finanziaria, per chissà quanti altri anni. E purtroppo il contesto della discussione vede Roma in una condizione di debolezza: il testo di partenza del decreto è molto debole; si è sbagliato a pensarlo come una bandierina da ottenere velocemente per usarla sul mercato della propaganda politica superficiale, senza attenzione ai contenuti; la Regione si è interposta in modo molto deciso (e, a mio avviso, molto discutibile); la forza della rappresentanza romana nel confronto con il Governo nazionale è indebolita da numerose circostanze.
Non dimentichiamoci infatti che, se pure al Governo non c’è più la Lega Nord, c’è invece, e per fortuna, un’altra cultura da cui promana un nuovo “vento del nord” improntato a efficienza e giansenismo, rispetto al quale Roma dovrebbe dimostrare di essere all’altezza delle sfide attuali e future del paese. Una cultura che ha difficoltà a capire – per carità di patria cito solo tre episodi -come sia possibile che la città e le sue istituzioni locali: (a) non avessero preparato alcuna ipotesi alternativa al progetto olimpico; (b) non riescano a completare programmi di opere pubbliche stabiliti alla fine degli anni ’90; (c) siano ancora invischiati nel pasticcio del commissariamento, con partite di credito-debito plurime e inestricabili fra Comune, Stato e ufficio del commissario.
Per ribaltare questa condizione di debolezza è necessario avanzare proposte serie, che tengano insieme innovazione e sostenibilità. E’ su questa linea che si muoveva il seminario del 6 febbraio organizzato da Obiettivocomune. Le proposte avanzate in quel seminario hanno via via raccolto ampi consensi, fino a una convergenza su gran parte di esse fra i due relatori del provvedimento (uno è chi scrive questa nota, l’altro è Maurizio Leo).
La proposta principale, su cui si attende il parere del Governo, è di inserire Roma nei circuiti ordinari della programmazione della spesa nazionale per investimenti pubblici (CIPE, legge obiettivo, Intese di programma, Accordi di programma quadro, Contratti istituzionali di sviluppo). Si tratta di una doppia innovazione: per un verso, esiste ancora, anche se definanziata, la vecchia legge 396 del 1990 su Roma capitale, che con la proposta avanzata verrebbe sostituita da un impianto più moderno (assoggettato fra l’altro a criteri più stringenti di valutazione dei progetti, monitoraggio delle realizzazioni e sanzioni in caso di inadempimento); e poi, la logica della programmazione ordinaria verrebbe a sostituirsi a quella dei grandi eventi, che troppo spesso sono stati il canale indiretto (e incongruo) per chiedere finanziamenti necessari per la vita ordinaria della città (Roma ha bisogno di completare e ammodernare la rete di trasporto sul ferro anche se non partecipa alla gara olimpica). E’ una proposta ordinamentale, senza bisogno di copertura finanziaria: Roma, insomma, non chiede soldi che oggi non ci sono, ma chiede di poter competere ad armi pari con i progetti che ricadono all’interno del suo territorio “speciale” alle future decisioni sugli investimenti pubblici di rilevanza nazionale. E sarà compito di Roma, in futuro, presentare progetti buoni e fattibili, e dimostrare di essere dotata delle necessarie capacità realizzative (nel Comune, ma anche negli altri soggetti ed entità pubbliche competenti).
Le altre modifiche che proponiamo al testo originario del decreto riguardano:
– la previsione di un potere sostitutivo dello Stato nei confronti della Regione, in caso di inadempienza di quest’ultima nel trasferimento a Roma delle funzioni previste dalla legge 42 del 2009. Il potere sostitutivo si esercita nelle forme “leggere” previste dalla legge 131 cosiddetta “La Loggia”;
– la determinazione dei costi che le istituzioni locali affrontano in connessione al ruolo di capitale della Repubblica (una norma prevista della legge 42, voluta e votata anche dalla Lega Nord, ma scomparsa nel testo iniziale del decreto). Proponiamo che questi costi vengano determinati da un’istituzione indipendente (Istat) e non chiediamo che vengano finanziati dalla collettività nazionale, soltanto che possano essere scorporati, una volta determinati e con successive decisioni da assumere nelle leggi di stabilità, ai fini del patto di stabilità interno;
– il trasferimento della partecipazione del Ministero dell’economia nell’EUR spa. Non si capisce il senso di questa partecipazione azionaria statale, visto che le missioni dell’EUR spa (gestione di un compendio immobiliare in un quartiere di Roma e, in prospettiva, gestione di un Centro Congressi) sono tipiche missioni locali e non nazionali;
– la cancellazione dal testo originario di due passaggi in cui si introduce un concorso del Comune a funzioni di tutela dei beni culturali, per le quali la Costituzione e la legge dispongono chiaramente una competenza esclusiva dello Stato.
Solo su quest’ultima proposta non si è verificata una convergenza fra i due relatori del provvedimento: sarà la Commissione bicamerale a decidere sulla base delle proposte emendative già annunciate da diversi gruppi parlamentari.
La scadenza per l’approvazione del decreto è stata fissata al 25 marzo. C’è quasi un mese di tempo per convincere Monti e il suo Governo. Sarà necessaria una larga unità della città. Come dimostra il caso delle Olimpiadi sono inutili forme tradizionali di pressione. Al contrario sarà bene che anche a Roma cominci a diffondersi il nuovo vento del nord: serietà, competenza, concretezza.

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