di Jolanda Bufalini

Alessandra Sartore è da 18 mesi impegnata a rimettere a posto i conti della Regione e a trovare, attraverso i risparmi, risorse da investire in sviluppo: un po’ come raccogliere l’acqua con un secchiello in un mare di debiti. “Quando la giunta Zingaretti si è insediata – spiega l’assessore al bilancio e al demanio della Regione Lazio  – il bilancio era tecnicamente in default”, con un debito commerciale di 12 miliardi, un deficit finanziario di 11, un disavanzo sanitario di oltre 600 milioni”.  Ora, con il pagamento dei debiti della pubblica amministrazione, 5,5 miliardi su 7,3 già pagati, si punta al dimezzamento del debito commerciale, la spending review sui costi della politica e delle partecipate, la riduzione delle poltrone con l’accorpamento delle società regionali, hanno consentito, grazie a un risparmio di 39 milioni di euro, di “scongiurare l’aumento dell’Irpef per 1,2 milioni di contribuenti nel 2014. L’esenzione dall’aumento Irpef per i redditi fino a 28.000 euro.

Sartore parla al convegno organizzato da “Obiettivo comune”, l’associazione che fa capo a Marco Causi, capogruppo Pd della commissione finanze alla Camera. Protagonista dell’incontro, insieme d Alessandra Sartore, è l’assessore al bilancio del comune di Roma, Silvia Scozzese, con loro dialoga il sottosegretario all’economia Pier Paolo Baretta. Dal pubblico sono intervenuti gli assessori di Roma Capitale Improta e Caudo, sindacalisti e rappresentanti delle associazioni imprenditoriali, i segretari del Pd romano e laziale, Lionello Cosentino e Fabio Melilli. Le due signore, alla cui competenza è affidata la finanza territoriale, pongono il tema: comune, regione, governo nazionale lavorano con sistemi contabili e logiche finanziarie diversi e incapaci di dialogare fra loro. La questione talvolta è politica: “c’è un blocco delle regioni del Nord che penalizza il Centro-sud?” chiede Marco Causi.  Ma è anche sistemica: “Quello che per il governo nazionale o regionale è un problema contabile, spiega Silvia Scozzese, per noi è programmazione: l’impossibilità di programmare rischia di vanificare i sacrifici del piano di rientro”.

Nelle maglie larghe di questi strumenti disarmonici passano facilmente le pressioni di gruppi d’interesse e gli eccessi della discrezionalità politica. E’ potuto accadere che, dal 2010, la posta di bilancio per il trasporto pubblico a Roma fosse azzerata: un dispetto fra politici dello stesso schieramento, Polverini e Alemanno, si è trasformato in un danno per i cittadini. Secondo l’assessore ai trasporti Guido Improta, se Zingaretti ha posto parzialmente rimedio, il gap non è ancora colmato: “Nel triennio 2010-2013, la società regionale Cotral ha percorso 314.250 chilometri mentre Atac (conteggiando anche Metro e ferrovie) ha macinato 657.700 chilometri. Il contributo a Cotral è stato di 938 milioni, quello ad Atac di meno della metà 401 milioni (esclusi i trasferimenti diretti a Roma Capitale)”.

I dolori di Roma Capitale non finiscono qui, la Copaff (Commissione per l’attuazione del federalismo fiscale) ha finalmente riconosciuto 110 milioni di extracosti per il ruolo che Roma svolge come capitale e, ora, si attende che segua la decisione politica attraverso la legge di stabilità. “Ma – insiste Silvia Scozzese – negli anni i romani, quegli extracosti, li hanno pagati per tutti”.

Il quadro macroeconomico che tratteggia Pier Paolo Baretta non lascia adito a dubbi, le vacche sono ancora molto magre e la legge di stabilità agirà ancora con lo strumento della spending review. Quanto agli investimenti, “il governo ha indicato le priorità, dissesto idrogeologico e scuole” ma spetta ai comuni decidere. Eppure dai comuni non è arrivata alcuna certezza e, senza stabilire priorità, si rischia di disperdere e rendere inefficace l’investimento delle poche risorse disponibili. Forse i comuni stanno aspettando dallo Stato la fine del patto di stabilità interno. Pier Paolo Baretta non si sbilancia, è “una questione sul tappeto”. L’entrata in vigore delle nuove regole contabili per comuni e regioni, che obbligano al pareggio di bilancio, potrebbe fare andare in soffitta il patto di stabilità interno. Ma non è ancora chiaro come potranno intervenire meccanismi di compensazione e di riequilibrio fra enti in avanzo ed enti in disavanzo. Alla fine su una cosa sono d’accordo Baretta e le signore dei bilanci di Roma e del Lazio: il cantiere del federalismo, troppo affrettatamente abbandonato negli anni della crisi, va riaperto per dare certezze e stabilità alle finanze degli enti decentrati.

Alessandra Sartore è da 18 mesi impegnata a rimettere a posto i conti della Regione e a trovare, attraverso i risparmi, risorse da investire in sviluppo: un po’ come raccogliere l’acqua con un secchiello in un mare di debiti. “Quando la giunta Zingaretti si è insediata – spiega l’assessore al bilancio e al demanio della Regione Lazio – il bilancio era tecnicamente in default”, con un debito commerciale di 12 miliardi, un deficit finanziario di 11, un disavanzo sanitario di oltre 600 milioni”. Ora, con il pagamento dei debiti della pubblica amministrazione, 5,5 miliardi su 7,3 già pagati, si punta al dimezzamento del debito commerciale, la spending review sui costi della politica e delle partecipate, la riduzione delle poltrone con l’accorpamento delle società regionali, hanno consentito, grazie a un risparmio di 39 milioni di euro, di “scongiurare l’aumento dell’Irpef per 1,2 milioni di contribuenti nel 2014. L’esenzione dall’aumento Irpef per i redditi fino a 28.000 euro.
Sartore parla al convegno organizzato da “Obiettivo comune”, l’associazione che fa capo a Marco Causi, capogruppo Pd della commissione finanze alla Camera. Protagonista dell’incontro, insieme d Alessandra Sartore, è l’assessore al bilancio del comune di Roma, Silvia Scozzese, con loro dialoga il sottosegretario all’economia Pier Paolo Baretta. Dal pubblico sono intervenuti gli assessori di Roma Capitale Improta e Caudo, sindacalisti e rappresentanti delle associazioni imprenditoriali, i segretari del Pd romano e laziale, Lionello Cosentino e Fabio Melilli. Le due signore, alla cui competenza è affidata la finanza territoriale, pongono il tema: comune, regione, governo nazionale lavorano con sistemi contabili e logiche finanziarie diversi e incapaci di dialogare fra loro. La questione talvolta è politica: “c’è un blocco delle regioni del Nord che penalizza il Centro-sud?” chiede Marco Causi. Ma è anche sistemica: “Quello che per il governo nazionale o regionale è un problema contabile, spiega Silvia Scozzese, per noi è programmazione: l’impossibilità di programmare rischia di vanificare i sacrifici del piano di rientro”.
Nelle maglie larghe di questi strumenti disarmonici passano facilmente le pressioni di gruppi d’interesse e gli eccessi della discrezionalità politica. E’ potuto accadere che, dal 2010, la posta di bilancio per il trasporto pubblico a Roma fosse azzerata: un dispetto fra politici dello stesso schieramento, Polverini e Alemanno, si è trasformato in un danno per i cittadini. Secondo l’assessore ai trasporti Guido Improta, se Zingaretti ha posto parzialmente rimedio, il gap non è ancora colmato: “Nel triennio 2010-2013, la società regionale Cotral ha percorso 314.250 chilometri mentre Atac (conteggiando anche Metro e ferrovie) ha macinato 657.700 chilometri. Il contributo a Cotral è stato di 938 milioni, quello ad Atac di meno della metà 401 milioni (esclusi i trasferimenti diretti a Roma Capitale)”.
I dolori di Roma Capitale non finiscono qui, la Copaff (Commissione per l’attuazione del federalismo fiscale) ha finalmente riconosciuto 110 milioni di extracosti per il ruolo che Roma svolge come capitale e, ora, si attende che segua la decisione politica attraverso la legge di stabilità. “Ma – insiste Silvia Scozzese – negli anni i romani, quegli extracosti, li hanno pagati per tutti”.
Il quadro macroeconomico che tratteggia Pier Paolo Baretta non lascia adito a dubbi, le vacche sono ancora molto magre e la legge di stabilità agirà ancora con lo strumento della spending review. Quanto agli investimenti, “il governo ha indicato le priorità, dissesto idrogeologico e scuole” ma spetta ai comuni decidere. Eppure dai comuni non è arrivata alcuna certezza e, senza stabilire priorità, si rischia di disperdere e rendere inefficace l’investimento delle poche risorse disponibili. Forse i comuni stanno aspettando dallo Stato la fine del patto di stabilità interno. Pier Paolo Baretta non si sbilancia, è “una questione sul tappeto”. L’entrata in vigore delle nuove regole contabili per comuni e regioni, che obbligano al pareggio di bilancio, potrebbe fare andare in soffitta il patto di stabilità interno. Ma non è ancora chiaro come potranno intervenire meccanismi di compensazione e di riequilibrio fra enti in avanzo ed enti in disavanzo. Alla fine su una cosa sono d’accordo Baretta e le signore dei bilanci di Roma e del Lazio: il cantiere del federalismo, troppo affrettatamente abbandonato negli anni della crisi, va riaperto per dare certezze e stabilità alle finanze degli enti decentrati.

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