di BERNARDO PIZZETTI

Il settore idrico rappresenta un caso di “doppio monopolio”: un monopolio economico, nel quale la rilevanza dell’infrastruttura assicura il raggiungimento di significative economie di scala (cioè che all’aumentare della dimensione dell’impresa, diminuiscono i sottostanti costi unitari) e, inoltre, un monopolio integrato di carattere legale, in virtù della previsione della Legge Galli secondo la quale per ogni Ambito Territoriale Ottimale (di norma coincidente con il territorio provinciale) ci deve essere un solo gestore dell’intero ciclo delle acque il quale, oltre ad assicurare la captazione alla fonte e la distribuzione attraverso le reti idriche, dovrà gestire la fognatura e la depurazione delle acque prima della loro restituzione ai corpi idrici.
Tale scenario fa si che nel settore idrico non esiste alcun genere di concorrenza, né potrà essere assicurata in futuro; applicare a tale settore le categorie della liberalizzazione in virtù dell’obbligo di gara previsto dalla legge Ronchi ora sottoposta a referendum è pertanto fuorviante.
D’altro canto, occorre tenere sempre presente che la fornitura idrica nelle dimensioni e qualità in cui la conosciamo, può essere assicurata solo da sistemi industriali di adeguate dimensioni, motivo per cui la vera sfida del post referendum consiste nel costruire un “ambiente istituzionale” idoneo a garantire lo sviluppo di una autentica industria idrica nazionale.
Tale “ambiente” deve essere incardinato su due pilastri: innanzi tutto occorre una Autorità indipendente che possa determinare i criteri delle tariffe idriche, essere dotata dei poteri di accesso ai siti ed ai dati aziendali, poter irrogare sanzioni e disporre l’eventuale decadimento della concessione. Tale Autorità, non avendo fra i suoi obiettivi di legge quello di favorire la concorrenza nel settore, oltre ad assolvere un doveroso ruolo di pervasiva tutela degli utenti, dovrà concorrere a disegnare un sistema di regole che consenta l’emergere e lo sviluppo di una reale industria idrica italiana.
In secondo luogo però, occorre uno sforzo riformista volto a definire un pensiero nuovo circa il sistema di riferimento in cui è opportuno che operino grandi aziende che gestiscono rilevanti servizi di rete. Appare evidente che il riferimento alle sole regole del diritto societario in generale ed a quelle dei mercati regolamentati in particolare, non riesce a risolvere in maniera positiva le spinte contrapposte fra il profitto d’impresa che mira ad assicurare dividendi ogni anno da un lato e, dall’altro, la necessità di prevedere strategie di investimento con ritorni assai differiti nel tempo, entrambi obiettivi che devono essere garantiti all’interno di un sistema di tariffe non predatorio. Appare quindi necessario iniziare a ragionare su una sorta di “diritto speciale europeo” che possa essere il principale riferimento di tale tipologia di aziende.

Bernardo Pizzetti è stato Presidente dell’Agenzia per i servizi pubblici locali del Comune di Roma. Attualmente è dirigente dell’Autorità per l’energia elettrica e il gas; le valutazioni espresse impegnano esclusivamente l’autore e non l’istituzione di appartenenza.

Questa è la sintesi dell’intervento svolto all’incontro “E DOPO IL SÌ? Acqua, rifiuti, referendum: ne discutiamo partendo da due libri” del 6 giugno scorso Scarica l’intervento integrale

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