di GIOVANNI CAUDO

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1. La politica e la città condividono la medesima radice etimologica, polis, a sottolineare lo stretto rapporto tra il discorso politico e quello sulla città. Un discorso che intrecciandosi con i valori, gli ideali, i conflitti e le scelte, e con la ricerca di un ordine spaziale e sociale sempre da re-inventare, ha dato vita alla città: la forma più complessa ed evoluta che l’uomo ha saputo costruire per poter vivere insieme. Oggi la città si presenta come un territorio urbanizzato esteso ben oltre il limes: è la campagna diventata metropoli senza che sia mai stata città. La sua frammentazione, le discontinuità e le rotture che presenta sono la restituzione, nel concreto dello spazio, dell’articolazione sociale che si sta producendo nel nostro Paese. In questo contesto il discorso sulla città emerge essenzialmente come domanda di sicurezza, di protezione dalla presenza dell’altro; assistiamo ad un progressivo indebolimento di quel sentimento del vivere insieme che è fondamento della civiltà urbana. Polémos, conflitto, è l’altro significato della polis a testimoniare che esso è costitutivo della città e non può essere espunto, non può essere cancellato, da sempre il problema è governarlo.

2. Un mondo fatto di città, in cui gli scambi commerciali, finanziari, la mobilità delle persone e delle cose hanno progressivamente spostato il centro del discorso politico ed economico verso le città. Non è solo una questione demografica, è noto che il 50% ormai della popolazione mondiale è urbanizzata, ma soprattutto di questioni che attengono all’economia e all’innovazione. E’ meno noto che il 30% dell’intera economia mondiale e di tutte le innovazioni si produce in sole 100 città (l’economia della sola New York è pari a 46 volte quella di tutti gli stati sub sahariani messi insieme). Un mondo di città ma con evidenti squilibri sociali e politici: concentrazione di ricchezza, di risorse tecnologiche e di opportunità in un numero circoscritto di città/metropoli a fronte della crescita di megalopoli, come Lagos e Città del Messico, dove si affollano decine di milioni di poveri. Un mondo di città che si è manifestato proprio con la recente crisi finanziaria, nata con i meccanismi della finanziarizzazione estesi alla città che ne costituisce il “sottostante”. La città di pietra ha subito così un cambiamento radicale: è diventata città di carta da scambiare sui mercati finanziari.
Il giornale più influente della diplomazia americana scrive: “In questo nuovo mondo di città non si vince con le stesse regole del vecchio mondo compatto, quello delle nazioni; le metropoli si scriveranno il proprio codice di condotta animate dalla necessità dell’efficienza, della connettività e sopratutto della sicurezza”. Le città occidentali, ed europee in particolare, dove è stato pensato e costruito il vecchio mondo, hanno il compito di comprendere queste trasformazioni.

3. Parigi, Londra, Berlino, ma anche Amburgo, Lione, la conurbazione olandese della Randstad, ma anche Ivanovo in Russia, Riga capitale della Lettonia e poi ancora Madrid, Barcellona, Siviglia, Belgrado e molte altre sono le città, alcune da anni altri da meno tempo, impegnate nel ridefinire la loro collocazione nel nuovo scenario del mondo di città e nell’individuare i modi con cui tessere i rapporti con la nuova configurazione dei flussi non solo, o non più, delle merci ma della finanza, della conoscenza e dell’innovazione. Anche l’Unione Europea che fino ad ora ha considerato le politiche urbane di competenza dei singoli Stati si è resa conto della necessità di una visione strategica sulle città. In molti paesi le politiche urbane sono considerate di preminente interesse nazionale e non si tratta della declinazione della sfida competitiva, ormai obsoleta, quanto di comprendere nel profondo la natura di come collegare lo spazio urbano ai processi di crescita economica e nello stesso tempo lavorare per la coesione sociale rinnovando le tradizionali forme di welfare europeo.

4. Nel nostro paese, invece, manca del tutto la consapevolezza dell’importanza delle politiche pubbliche e in particolare di quelle urbane come ambito di preminente interesse strategico per l’economia nazionale e per la crescita della società. L’impressione che si ha è che la politica, cancellando dai suoi discorsi il “luogo” dove essa si costruisce, abbia progressivamente cambiato natura, perso il senso del suo essere e smarrito i modi del suo farsi.
Per questo, nel momento in cui ci apprestiamo ad avviare un percorso di impegno culturale e politico, abbiamo sentito il bisogno di ripartire da qui, dalla città come luogo della politica, del conflitto e del confronto tra uomini liberi.
Quale è lo stato delle nostre città? L’impossibilità di poter rispondere con dati certi e con rappresentazioni reali a questa domanda è già parte del problema. Eppure le espressioni di un malessere urbano sono diffuse e riguardano i diversi contesti urbani. Oggi nelle città ci si sposta più lentamente di quanto non avveniva in passato. La realizzazione della dorsale ferroviaria dell’alta velocità fa emergere le carenze nella mobilità urbana: il tratto finale dello spostamento, quello interno alla città, ha tempi di durata simili se non maggiori di quelli necessari allo spostamento principale. La difficoltà di vivere e lavorare in città emerge dalle condizioni del trasporto pendolare. Una geografia dinamica, come una sorta di respiro, mette in relazione il corpo della città con il suo territorio metropolitano ormai esteso alla scala interregionale: si è accolti e si è espulsi dalla città centrale in base alla condizione sociale ed economica. Il diritto alla città è molto spesso negato per ragioni economiche. La questione abitativa è parte importante di questo diritto negato. Ma quali alternative abitative hanno non solo i soggetti socialmente deboli, ma il ceto medio e impiegatizio, i professionisti a basso reddito per non parlare dei giovani che restano con i genitori e delle giovani coppie? E ancora, quali risposte si trovano per chi si muove per lavoro, per chi ha un contratto a tempo e proviene da un’altra città o per quelle fasce di giovani e di professionisti ad alta mobilità che decidono di venire a lavorare in una città italiana?
E poi ci sono tutte le questioni che attengono al governo dei servizi pubblici locali, alla loro efficienza ed efficacia in termini non solo di quantità ma anche di qualità, al loro mantenimento entro la sfera pubblica e all’apertura al privato. A tutte le questioni legate ai consumi, ai rifiuti e alle politiche sul clima e sull’ambiente. Al tema del lavoro e dell’impresa che sembra essere confinato, in modo quanto mai obsoleto, nella fabbrica di antica memoria, e che attiene invece sempre più alla complessità urbana che è diventata essa stessa fabbrica, una fabbrica disseminata di tante piccole imprese industriali, artigianali e di servizio dentro cui convivono dinamiche innovative e rifugio marginale. E poi quello della conoscenza e del rapporto tra università, centri di ricerca, produzione artistica e città.
E, infine, non è inutile ricordare nel momento in cui il federalismo sembra essere diventato il mantra nazionale, che il federalismo all’italiana porta con sé un insopportabile peso di barocchismo istituzionale e un evidente appesantimento dei livelli di governo, delle burocrazie, dell’intermediazione politica. E che, in qualsiasi modo si risolverà (se mai si risolverà) il tradizionale conflitto fra Stato, Regioni, Province e Comuni, il carattere storico dell’insediamento residenziale e produttivo in Italia rende inevitabile un federalismo che abbia una solida radice municipale, chiedendo così alle città di svolgere un ruolo centrale nella nuova forma di governo. Questo, almeno, nelle grandi concentrazioni urbane del paese, dove la nuova “città metropolitana” potrà assorbire almeno due delle attuali forme di governo (Comune e Provincia) e gestire in modo unitario anche alcune competenze amministrative oggi affidate alle Regioni.
Si può cambiare rotta? Possiamo tornare a guardare le città come a luoghi dell’innovazione e della crescita del paese Italia? La risposta deve essere sì, e per questo è necessario pensare a nuovo progetto politico di valenza strategica e di interesse nazionale che colga la sfida di collegare lo sviluppo economico e le aree urbane, che si ponga l’obiettivo di migliorare la vivibilità delle città, che non arretri impaurito di fronte alle sfide e alle complessità poste dalle grandi concentrazioni urbane, come Roma.

5. Roma è la città italiana in cui con maggiore evidenza emergono i rischi e le opportunità dei nuovi scenari. Il teatrino della nuova Italietta a base di polenta e pajata non può, non deve, far dimenticare che Roma è l’area urbana cresciuta di più negli ultimi quindici anni, un vero e proprio motore per tutto il paese. Quei fenomeni di concentrazione urbana che gli analisti internazionali intravedono nei percorsi di sviluppo di tutti i paesi, e che sono stati richiamati in precedenza, sono emersi con l’intensità più grande proprio a Roma. Ancora poco compresi dalla politica, sia nazionale che locale: troppo spesso, ad esempio, ci si dimentica che Roma ospita specializzazioni industriali di valenza nazionale e internazionale che hanno dimensioni e spessori tali da creare masse critiche ben superiori a quelle di qualsiasi distretto manifatturiero del nord, e ci si dimentica di attrezzare le politiche locali, in particolare quelle localizzative, in relazione alle esigenze delle imprese e dei lavoratori e lavoratrici che in queste imprese vivono. Insieme ad una crescita accentuata sono arrivati, come sempre accade, gli scompensi, gli squilibri, le distorsioni. Ingigantiti oggi dalla crisi economica, dal suo impatto sul tessuto produttivo e sul lavoro. Dal ruolo persistente delle coalizioni che vivono sulla rendita procurata da Roma, una rendita che si è accentuata per effetto dello sviluppo accelerato del quindicennio 1993-2008 e del contesto macroeconomico e macrofinanziario in cui si è collocata.

6. Tornare a fare politica partendo dal ridare senso al “luogo” della politica e del confronto, parlare il linguaggio delle questioni concrete e delle aspirazioni più alte, incontrare l’interesse delle persone attraverso i loro disagi e le loro aspirazioni, proporre soluzioni o comunque aumentare la consapevolezza di tutti su quanto accade ed evidenziare le contraddizioni di chi governa, questo vuole essere Obiettivocomune e su questo ci impegniamo a lavorare a cominciare da un primo appuntamento dedicato al tema de “La Città ai tempi della crisi”. Molti di noi lavorano o hanno lavorato all’interno delle reti produttive, amministrative, sociali e politiche della città di Roma. Fin da questa prima iniziativa, pur collocando il tema della città in un contesto generale, proveremo a declinare alcune questioni con particolare attenzione alla nostra città.

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