di MARCELLO DEGNI

La via più semplice non è stata imboccata

All’indomani della presa del Comune di Roma la nuova amministrazione di centrodestra, che subentrava a un lungo periodo di governo di centrosinistra (14 anni), denunciò l’eredità di un debito insostenibile. Un caso analogo, a parti invertite, si era verificato qualche anno prima alla Regione Lazio, nella sanità. L’analisi delle differenze tra le due situazioni, che sono profonde, ci porterebbe lontano, ma un punto merita di essere evidenziato. Mentre alla Regione Lazio è stata fatta una scelta di continuità amministrativa, assumendo il debito esistente e cercando, con l’aiuto del governo nazionale, le forme migliori per onorarlo ed evitare che se ne formasse di nuovo, al Comune di Roma si è scelta, anche qui con il supporto governativo, la strada della gestione separata.
Nel primo decreto-legge finanziario del governo Berlusconi (112/2008), viene riservato un intero articolo alle “misure urgenti per Roma capitale”. Il Sindaco viene nominato “commissario straordinario” ed assume, in un “bilancio separato rispetto a quello della gestione ordinaria, tutte le entrate di competenza e tutte le obbligazioni assunte alla data del 28 aprile 2008”. Si stabilisce in parole povere un prima, che viene congelato, e un dopo, che riparte da zero.
Il tempo trascorso da quella data (quasi tre anni) ha mostrato, tra le innumerevoli difficoltà, anche oggettive, di governo della Capitale, un inconveniente, evidente ed evitabile fin dall’inizio: la difficoltà, o meglio l’impossibilità, di interrompere la continuità amministrativa. La separazione crea infatti un intricato intreccio tra le due gestioni che vantano crediti e debiti l’una con l’altra e fa emergere contenzioso amministrativo tra l’amministrazione comunale e i creditori. Sotto il profilo metodologico inoltre la scelta effettuata non appare consigliabile. In ogni ente territoriale soggetto ad alternanza il vincitore del confronto elettorale sarebbe indotto ad adottare una strategia elusiva non facendosi carico degli effetti amministrativi delle azioni del predecessore, con  riflessi negativi sui rapporti giuridici consolidati (per esempio i creditori).
Ogni ente diverrebbe un caso, bisognoso di continui interventi normativi del legislatore nazionale, come dimostra il caso romano. Anche perché le norme per la separazione sono mutuate da quelle del dissesto e il regime che regola questa fattispecie appare nettamente inadeguato al processo di devoluzione di funzioni sempre maggiori agli enti territoriali. Può essere una valida norma di chiusura dell’ordinamento, per responsabilizzare il decisore politico ad una corretta gestione ordinaria della finanza comunale. Ma non è adatto per gestire una situazione prolungata nel tempo.
Nel caso di squilibrio strutturale, che rende problematico l’adempimento di una funzione fondamentale, andrebbe invece previsto un sistema di regole che, con progressività, induca l’ente inadempiente a rientrare nella normalità, stimolandolo, con aiuti e sanzioni adeguate, e limitando temporaneamente la sua sfera di autonomia, fino al superamento della crisi. Lo schema è quello dei piani di rientro per i disavanzi strutturali della sanità che, da ultimo, la legge finanziaria per il 2010 (L.191/09) ha esteso anche agli inadempimenti delle regioni di altro tipo. Si potrebbero mutuare da quella disciplina alcune disposizioni valide anche per gli altri enti territoriali. In questo modo, superando la distinzione tra gestione ordinaria e straordinaria, si potrebbe: redigere un piano di rientro (triennale a scorrimento); individuare un sistema di monitoraggio periodico; condizionare il finanziamento all’attuazione del piano. Tale ipotesi potrebbe essere integrata con la definizione di un sistema di sanzioni progressive (tra cui l’incremento automatico delle imposte locali), nonché il commissariamento, da modulare per ambiti di attività, onde evitare di travolgere l’intera sfera di azione dell’ente locale.
E’ una questione di carattere generale. In tutti i casi in cui gli enti territoriali forniscono servizi connessi ai diritti essenziali (le lettere m) e p) dell’art. 117 della Costituzione) non può non essere previsto, in caso di palese inadempienza, un potere sostitutivo del centro, di cui la messa sotto tutela dell’ente non è che la concreta applicazione. L’obiettivo è quello di ripristinare le condizioni normali, evitando gli squilibri che potrebbero creare soluzioni estreme come il fallimento. Elementi di questa natura si possono individuare anche nel contorto percorso normativo che ha caratterizzato la gestione straordinaria del comune di Roma.
Più coerente sotto il profilo finanziario sarebbe stato, nel caso romano, mantenere l’unità amministrativa e utilizzare il ricco strumentario normativo esistente, a partire dalla legge per Roma Capitale (L. 396/1990), rifinanziabile, come era stato fatto per diversi anni, attraverso la legge finanziaria, fino al 2007 (Governo Prodi), anno in cui erano stati stanziati circa 600 milioni di euro (212 milioni di euro per ciascun anno 2007 e 2008 e 170 milioni di euro per il 2009). Più recentemente sono state introdotte nuove disposizioni importanti, a cominciare dall’art. 114, terzo comma della Costituzione, che risale al 2001, e individua esplicitamente Roma come Capitale della Repubblica, rinviando alla legge statale la disciplina del suo ordinamento. E la legge delega per il federalismo fiscale (legge 42 del 2009) dove, con qualche forzatura, si è introdotta la questione di Roma e  da cui è già scaturito un primo decreto legislativo. Anche la legge di stabilità per il 2011 definisce delle regole specifiche per il concorso del Comune di Roma al patto di stabilità interno, disponendo che “entro il 31 ottobre di ciascun anno, il sindaco  trasmette  la proposta di accordo al Ministro dell’economia e delle finanze, evidenziando, tra l’altro, l’equilibrio della  gestione  ordinaria” e concorda, entro il 31 dicembre,  “modalità” ed “entità”, “del  proprio concorso alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica”. Insomma l’ultima cosa da fare sembra proprio, all’esame obiettivo della situazione, la separazione delle gestioni finanziarie.

Il risultato della separazione: un Comune sotto tutela

Il primo risultato della gestione straordinaria è stata la perdita di autonomia del Comune. Per inquadrare questo aspetto va considerato il finanziamento del processo di separazione. Come si è detto al momento del suo insediamento, il 28 aprile 2008, la nuova giunta ha ritenuto insostenibile l’ammontare dell’indebitamento, cui si sommava il disequilibrio finanziario dovuto alla mancanza di liquidità. Quest’ultimo era stato nel corso del biennio 2006-2007 generato dalla crescente esposizione creditoria del Comune nei confronti della Regione Lazio, la quale aveva cessato, per effetto della sua crisi di bilancio, di trasmettere i contributi di legge dovuti, in particolare nel settore del trasporto pubblico locale, costringendo il Comune ad anticipare somme fino al considerevole ammontare, negli ultimi mesi del 2007 e nei primi del 2008, di circa 1,2 miliardi. In realtà, come si dimostrerà più avanti guardando i dati, l’emergenza derivava non tanto dalla questione del debito, quanto dalla crisi di liquidità.
La risposta del Governo, interessato della questione, è stata quella, attraverso l’art. 78 del decreto legge n.112/2008, di nominare il Sindaco commissario straordinario per “la ricognizione della situazione economico-finanziaria del comune e delle società da esso partecipate, con esclusione di quelle quotate nei mercati regolamentati, e per la predisposizione ed attuazione di un piano di rientro dall’indebitamento pregresso”. Con la stessa norma si disponeva inoltre la separazione della gestione antecedente l’insediamento della nuova giunta da quella successiva (la data del 28 aprile 2008 assume pertanto la funzione di vero e proprio spartiacque). Per le risorse necessarie, nelle more dell’approvazione del piano di rientro, il citato decreto 112/2008 (comma 8 dell’articolo 78) aveva autorizzato la Cassa Depositi e Prestiti a concedere al Comune di Roma una anticipazione di 500 milioni di euro (per il 2008), a valere sui primi futuri trasferimenti statali (esclusi quelli compensativi per mancati introiti di natura tributaria), per fronteggiare la crisi di liquidità del comune. Viene anche autorizzata l’apertura di apposita contabilità speciale per la gestione del Piano di rientro. L’anticipazione è stata coperta con il decreto-legge 154/08 (art.5, comma 1), che ha previsto un contributo ordinario di 500 milioni per rimborsare l’anticipazione della Cassa.
Per coprire le necessità finanziarie dell’anno in corso, la norma dispone che entrano a far parte della gestione straordinaria tutte le spese registrate fino alla data del 28 aprile 2008, mentre l’intera annualità delle entrate viene assegnata alla gestione ordinaria. Di fatto, la gestione commissariale viene caricata di tutte le spese dei primi quattro mesi dell’anno, mentre la gestione ordinaria per fare fronte ai restanti otto mesi di spesa può beneficiare di dodici mensilità di entrate. Con questo meccanismo si aiuta (drogandolo) il bilancio ordinario del Comune per il 2008, e si carica un onere aggiuntivo avente dimensione di più di un miliardo sulla gestione straordinaria: un onere che nulla ha a che fare né con il debito storico né con l’accertamento di eventuali altre partite debitorie.
Lo stesso provvedimento (articolo 5, comma 3), ha previsto per le medesime finalità l’attribuzione al Comune di Roma di un analogo contributo di 500 milioni di euro anche per l’anno 2009, a valere sulle risorse del Fondo per le aree sottoutilizzate. Per il finanziamento annuale del Piano si disponeva inoltre che, a decorrere dall’anno 2010, in sede di attuazione dell’articolo 119 della Costituzione, venisse riservato prioritariamente a favore di Roma Capitale un contributo annuale di 500 milioni di euro nell’ambito delle risorse disponibili per il federalismo fiscale. Ma questa disposizione aveva un carattere programmatico e necessitava quindi di specifica copertura finanziaria. Per questo, relativamente all’anno 2010, la legge finanziaria (articolo 2, comma 195) ha attribuito al Commissario straordinario del Governo (ancora il Sindaco) un contributo di 500 milioni di euro, attraverso una nuova anticipazione di tesoreria.
La vita normativa di questa seconda anticipazione è più travagliata. La legge ne dispone l’erogazione attraverso una convenzione tra Ministero dell’economia e Comune di Roma stabilendo che 200 milioni sono erogati entro il 31 gennaio, mentre gli altri 300, da erogare entro il 31 dicembre, sono subordinati al conferimento degli immobili militari ai fondi comuni di investimento immobiliari costituiti ai sensi del comma 1 dell’ articolo 314 del codice dell’ordinamento militare (decreto legislativo 66/10). A questo conferimento, evidentemente difficile da realizzare, il decreto-legge 2 del 2010 (enti locali) aggiunge anche il trasferimento degli immobili, nonché il ricavato della vendita delle quote dei fondi. Ma evidentemente non basta. Il mille proroghe (decreto-legge 225 del 2010) pone gli oneri a carico del bilancio dello stato e allunga il termine per la conclusione delle operazioni di dismissione immobiliare fino al 31 dicembre 2011. Si concede un anno in più e, in questo ambito, si indica come urgente l’alienazione, “secondo criteri e valori di mercato”, degli immobili militari elencati nel protocollo tra Comune di Roma e Ministero della difesa. In tal modo viene coperta l’anticipazione straordinaria, attraverso il versamento al bilancio statale, per il 2010, di 500 milioni ricavati dalle vendite di parte degli immobili (le altre quote vengono destinate al Ministero della difesa per riallocare le funzioni svolte negli immobili alienati e alla riduzione del debito pubblico). La torta quindi, di difficile cottura come sempre avviene quando si tratta di immobili pubblici, viene divisa in tre fette. Ma l’unica di cui è noto lo spessore, è quella spettante al Comune di Roma. Sarebbe opportuno conoscere la grandezza complessiva della torta, anche per capire in che misura è stato rispettato lo spirito del federalismo demaniale, che prevede il trasferimento agli enti territoriali dei rispettivi cespiti patrimoniali. E’ forte, in altri termini, la sensazione che le operazioni di dismissione dei beni demaniali localizzati a Roma potrebbero (o avrebbero potuto) portare al Comune più risorse se gestite con i canali della legislazione ordinaria vigente piuttosto che con quelli delle norme “speciali” per il piano di rientro.
Il problema del finanziamento strutturale, a partire dal 2011, del piano di rientro della gestione commissariale, viene affrontato con il decreto legge 78/2010 (art.14, commi da 13-bis a 18). Per 300 milioni si provvede con un finanziamento statale. Per 200 milioni con uno sforzo richiesto al territorio comunale attraverso l’istituzione di un’addizionale comunale di 1 euro a passeggero in partenza su aeromobili dalla Città di Roma e la maggiorazione dell’addizionale comunale Irpef fino allo 0,4%. Le somme eventualmente riscosse in misura eccedente ai 200 milioni per anno sono riversate alla gestione ordinaria del Comune di Roma e concorrono alla stabilità finanziaria. Inoltre la gestione ordinaria ha la possibilità di istituire nuovi tributi (contributo di soggiorno per i turisti che soggiornano negli alberghi della Città e maggiorazione fino al 3 per mille sull’ICI sulle abitazioni diverse dalla principale).
L’accesso al fondo di 300 milioni annui è condizionato alla verifica positiva da parte del Ministero dell’economia e delle finanze dell’adeguatezza e dell’effettiva attuazione delle misure occorrenti per il reperimento delle risorse necessarie alla copertura del fondo di 200 milioni, nonché di quelle finalizzate a garantire l’equilibrio economico-finanziario della gestione ordinaria.
Sotto la spinta di una forte torsione finanziaria vengono con queste disposizioni effettuate delle scelte molto significative. Si stabilisce che il ripianamento del debito pregresso è sostenuto solo parzialmente dallo stato (300 milioni) e che il comune è chiamato a contribuire per una quota non marginale (200 milioni). Si indicano esplicitamente le fonti di entrata comunali che l’ente viene chiamato ad attivare per reperire la propria quota di risorse (addizionali su trasporto aereo e IRPEF). Si indicano nuove fonti di entrata comunali per l’equilibrio della gestione ordinaria (tassa di soggiorno e maggiorazione dell’ICI). Si subordina l’erogazione del contributo statale alla realizzazione dello sforzo fiscale comunale, sia per la gestione straordinaria sia per quella ordinaria. In altre parole si pone l’amministrazione comunale sotto tutela, in forme analoghe a quelle in cui sono state poste le regioni con disavanzi strutturali nella sanità. Tale situazione è rafforzata dalla separazione (disposta dal decreto-legge 2 del 2010, art. 4, comma 8-bis) della titolarità delle gestioni. Quella straordinaria viene assegnata ad un commissario diverso dal Sindaco, cui resta solo la gestione ordinaria, sotto il controllo stringente del Ministero dell’economia.
La storia del finanziamento del Piano di rientro, sinteticamente riepilogata, ci riporta al punto di partenza. Se lo squilibrio delle risorse fosse stato affrontato utilizzando l’anticipazione di tesoreria nell’ambito della gestione unitaria, l’autonomia del Comune risulterebbe meno compromessa e il quadro finanziario molto più nitido.

La storia del debito

In attuazione dell’art.78 del decreto-legge 112 del 2008 il 4 luglio 2008 il Sindaco Alemanno viene nominato con DPCM Commissario straordinario del Governo per la ricognizione della situazione economico-finanziaria del Comune di Roma (e delle società partecipate) e la predisposizione e attuazione di un Piano di rientro dall’indebitamento pregresso. Ricoprirà questa funzione fino al 5 maggio 2010. La gestione commissariale assume tutte le obbligazioni vigenti al 28 aprile 2008 (data dell’insediamento della nuova Giunta) in un bilancio separato rispetto a quello della gestione ordinaria.  Il 30 settembre 2008 il Commissario presenta il Piano di rientro che, unitamente ad un’appendice presentata il 22 ottobre 2008, viene approvato con DPCM il 5 dicembre 2008.
Successivamente con il decreto-legge 2 del 2010 (enti locali), la guida delle due gestioni viene sdoppiata: al Sindaco resta quella ordinaria e quella straordinaria viene affidata, dal 5 maggio 2010, a Domenico Oriani, che già sia era occupato della questione come sub-commissario. A questo viene assegnato il compito di procedere alla definitiva ricognizione della massa attiva e passiva rientrante nel piano di rientro. Il Piano definitivo di rientro è del 15 giugno 2010 (vedi seconda colonna della tabella seguente) viene aggiornato con le operazioni effettuate fino al 26 luglio 2010, ultima ricognizione prima del decreto del Ministro dell’economia e delle finanze del 4 agosto 2010 che, come previsto dal decreto-legge 78/10 (art.14, coma 13-bis), approva l’accertamento del debito.
Nel Piano originario (prima colonna della tabella) si evidenzia un debito totale di 9 miliardi e 422 milioni di euro, composto da 6 miliardi e 980 milioni di debito strutturale (la quota capitale dei prestiti in gestione) e da 2 miliardi e 441 milioni di cosiddetto extra debito.


Se si analizzano le voci della massa passiva si individuano in primo luogo le prestazioni rese e non pagate, ovvero il debito commerciale, che affligge le pubbliche amministrazioni e crea distorsioni nella qualità delle forniture e nei prezzi. Nel nostro caso, però, la voce è ampliata per semplice conseguenza della scelta normativa di assegnare quattro mesi di spese da pagare alla gestione straordinaria senza assegnare le corrispondenti entrate dei primi quattro mesi del 2008. In ogni caso, il problema che si crea rispetto a questa tipologia di debito è duplice: la carenza di risorse e la difficoltà di completare il ciclo passivo della spesa.
La gestione straordinaria ha effettuato, dal 29 aprile 2008 al 26 luglio 2010 (ultimo accertamento del debito), pagamenti per 1.152 milioni. Degli 809 milioni rimasti da pagare solo per 207 milioni sono stati emessi i relativi mandati, mentre i rimanenti 601 sono in corso di accertamento. La gestione straordinaria non ha dato nessun valore aggiunto allo smaltimento di questa tipologia debitoria, anzi ha creato problemi che hanno richiesto l’intervento del giudice e del legislatore. La frattura artificiale tra creditori ante e post 28 aprile 2008 ha favorito lo svilupparsi di azioni giudiziarie di natura amministrativa, attivate dai creditori del Comune, che hanno visto il Consiglio di Stato e  il TAR del Lazio pronunciarsi sullo sdoppiamento  della contabilità. L’ovvio giudizio è stato che la separazione “non rende in alcun modo dubbia l’individuabilità della parte debitrice dell’ente locale” richiamato a dare esecuzione alle sentenze oggetto del giudizio di ottemperanza entro il termine di 60 giorni. Gli organi di giustizia amministrativa hanno in sostanza ribadito un evidente principio di continuità, che non può essere messo in discussione dalla separazione delle gestioni contabili. Il legislatore, per ridurre le aree grigie, è dovuto intervenire sul punto con una interpretazione autentica per assegnare alla gestione commissariale “tutte le obbligazioni derivanti da fatti o atti posti in essere fino alla data del 28 aprile 2008, anche qualora le stesse siano accertate e i relativi crediti siano liquidati con sentenze pubblicate successivamente alla medesima data” (decreto-legge 2/10 sugli enti locali).
Analoga azione avrebbe potuto svolgere, senza incorrere in questi inconvenienti, la gestione ordinaria. Quello che serve per evitare i ritardi cronici nei pagamenti è, oltre ad un adeguato e tempestivo flusso di risorse finanziarie, la piena automazione dei processi di gestione del ciclo passivo della spesa, che è una sfida per le pubbliche amministrazioni italiane.
Altra partita rilevante sono i debiti fuori bilancio, significativamente incrementati (di ben 715 milioni), nelle due versioni del piano. Tra partite accertate e in corso di accertamento si rilevano 398 milioni di debiti per sentenze esecutive, 374 milioni per debiti verso società partecipate dal comune, 379 milioni di debiti verso l’ATER per l’indennità di esproprio di aree di proprietà e 152 milioni di altri debiti (di cui 113 ancora da accertare), per un totale al 26 luglio 2010 di 1.304 milioni. A questo si aggiunge il debito per contenzioso (70.000 pratiche oltre i 50.000 euro presso l’avvocatura), cresciuto in seguito alla citata interpretazione autentica del decreto 2/10, e in parte consistente (647 milioni) ancora da accertare. Il debito proveniente dalla ricapitalizzazione delle società partecipate è stato in gran parte pagato (per 63,9 milioni con anticipazione della gestione ordinaria) e resta solo un piccolo residuo.
Dall’analisi dei debiti fuori bilancio emerge senza dubbio la necessità di organizzare meglio la gestione del contenzioso, annoso problema delle pubbliche amministrazioni che spesso soccombono in sede di giustizia civile. Anche qui per compiere salti di qualità servono organizzazione dei processi amministrativi, informatizzazione, responsabilizzazione del personale. Detto questo il dato rilevato appare enorme (1.459 milioni tra sentenze esecutive e contenzioso in atto). Forse la stima effettuata degli oneri potenziali risente di  eccesso di prudenza e potrà essere rettificata per la parte ancora da accertare. Inoltre il grado di criticità dei debiti verso partecipate e ATER (753 milioni) non sembra particolarmente rilevante e potrebbe probabilmente essere affrontato, almeno in parte, con compensazioni e riorganizzazioni.
In entrambe le versioni del piano di rientro la massa attiva, e cioè i crediti accertati, supera i 3,2 miliardi. Si tratta in molti casi di voci che si compensano con altrettante voci di passivo: ad esempio, le passività verso le aziende di trasporto hanno contropartita nei crediti vantati verso la Regione, avendo il Comune anticipato risorse che la Regione stessa tardava a trasferire; anche nel caso dell’ATER sussistono ingenti crediti per il mancato pagamento dell’ICI, i quali più che controbilanciano i debiti per indennità di esproprio.
Le risorse di cassa a specifica destinazione, da reintegrare poiché evidentemente utilizzate per diverse finalità, superano i 2 miliardi, divise a metà tra parte corrente e capitale. Anche questa è una distorsione tipica delle pubbliche amministrazioni locali. Lo sbilancio di parte capitale, in particolare, corrispondente ai residui passivi relativi a prestazioni non ancora rese, presenta un grado di criticità non elevato, in quanto è correlato al flusso storico degli investimenti del bilancio, strutturalmente più basso delle risorse stanziate.
Una delle voci più importanti emerse nel piano definitivo del 2010 sono le maggiori spese presunte relative a pratiche espropriative pregresse. Anche in questo caso il criterio con cui è stato indicato l’onere potenziale appare irrealistico. Si tratta di 2.000 pratiche, alcune delle quali risalenti addirittura alle Olimpiadi del 1960. L’aleatorietà si evince anche dallo scarto tra le partite debitorie individuate (1.600 milioni) e l’importo di debito stimato (1.000 milioni).
Per quanto concerne il debito finanziario alla quota capitale dei prestiti attivi è stata aggiunta, nel piano definitivo, l’esposizione nei confronti del sistema bancario. Si tratta delle linee di credito per progetti esecutivi (le rate delle metropolitane, per 644 milioni) già considerate in un quadro si stabilizzazione complessiva della finanza comunale. Si consideri comunque che l’adozione dello strumento delle linee di credito migliora la gestione finanziaria, poiché fa scattare l’obbligazione giuridica al pagamento degli interessi solo e soltanto nel momento dell’utilizzo delle somme disponibili, consentendo con ciò di seguire l’effettivo stato di avanzamento dei lavori dei cantieri.
Sul debito primario, perfettamente conosciuto e certificato alla data del passaggio di consegne tra le amministrazioni, non ci sarebbe molto da dire se il decreto mille proroghe non autorizzasse il commissario, “fermi restando la titolarità del debito in capo all’emittente e l’ammortamento dello stesso in capo alla gestione commissariale”, “a rinegoziare i prestiti della specie anche al fine dell’eventuale eliminazione del vincolo di accantonamento, recuperando, ove possibile, gli accantonamenti già effettuati”. La latitudine del commissario si estende a scapito della gestione ordinaria, che viene esautorata della leva finanziaria. Inoltre si potrebbe leggere in controluce una valutazione critica sul modo in cui è stato costruito il debito primario del comune di Roma, sulla sua onerosità. Questo elemento andrebbe esplicitato e richiederebbe una analisi delle operazioni finanziarie effettuate dal Comune che, dai dati a disposizione, sembrano essere state perfezionate a costi competitivi (il costo del servizio del debito primario del Comune supera di poco quello del debito del Tesoro nazionale).
Il carattere aleatorio delle partite della massa passiva risente della debolezza delle convenzioni che presidiano la contabilità degli enti pubblici e che, se da un lato favoriscono l’approccio elusivo del decisore, dall’altro scontano una debolezza strutturale delle articolazioni amministrative locali. In alcuni casi le criticità sono evidenti: la complessità delle procedure di esproprio, che restano aperte per decenni, le migliaia di contenziosi, gestiti con approccio burocratico, le metodologie di contabilizzazione tra le aziende in house e l’ente territoriale, non supportate da adeguati strumenti per il controllo della gestione. Tutto ciò si riflette in una diversa perimetrazione della massa passiva che, come mostra la tabella, fa emergere diversi livelli di extradebito.
Nel Piano originario lo squilibrio è di 2,4 miliardi, nel Piano aggiornato si sale a 3,2 miliardi che si riducono però a 2,1 se si considerano i pagamenti effettuati tra il 29 aprile 2008 e il 26 luglio 2010. Se poi si rettificano le poste della massa passiva che non presentano un elevato grado di criticità (come ad esempio gli oneri da esproprio e le reintegrazioni in conto capitale o le partite debitorie con le aziende comunali) l’extradebito si riduce significativamente sino quasi ad annullarsi.
Restando ai dati ricavati dal rapporto del commissario, e considerando esclusivamente i pagamenti effettuati al 26 luglio 2010 e la stima relativa agli oneri delle espropriazioni (1 miliardo) l’extradebito ammonterebbe a 1,4 miliardi. A prescindere dagli ulteriori ridimensionamenti possibili sorge spontanea una domanda. Di quanto è sproporzionato un flusso di 500 milioni annui per abbattere uno stock di 1,4 miliardi? Moltissimo. Con 500 milioni è possibile infatti attualizzare circa 8 miliardi di euro, pari a sei volte la somma da smaltire. Basterebbe una somma di molto inferiore e più che sufficienti sarebbero i 200 milioni di euro, che rappresentano la quota comunale del ripianamento. Il resto potrebbe essere destinato alle esigenze della gestione ordinaria o meglio, nell’ambito di una gestione unitaria, ci sarebbe una somma intorno ai 300 milioni annui (o più, se l’extradebito si mostrasse ancor più basso) di risorse statali per il finanziamento degli interventi necessari alla capitale.
Qualcosa evidentemente non quadra. O è stato largamente sopravvalutato lo squilibrio calcolato al momento del passaggio di consiliatura, oppure si vogliono rimettere le mani sul debito primario, attraverso ristrutturazioni globali che avrebbero un senso solo nell’ipotesi di una presunta eccessiva onerosità delle operazioni in essere, prodotta al momento della predisposizione dei vari strumenti. Non ha senso ovviamente, sotto il profilo economico, considerare nella massa passiva, l’onere per interessi, che ammonta complessivamente, al 25 giugno 2010, a 7.378 milioni. Si tratta infatti dell’ammortamento di un debito a lungo termine (fino al 2048) che, non a caso, è superiore al capitale. Qualsiasi analoga tipologia di ammortamento avrebbe un profilo comparabile. Il debito primario del Comune di Roma, circa 7 miliardi di euro, appare del tutto compatibile con un bilancio annuale superiore ai 5 miliardi di euro, come evidenzia anche la sua composizione (1.499 milioni di emissioni obbligazionarie, 2.363 milioni di mutui con la CDP, 2.777 milioni di mutui bancari e 644 milioni di aperture di credito correlate a gare aggiudicate, oltre a qualche posta minore). In termini pro capite, si tratta di un debito comunale inferiore a quello dei Comuni di Milano e di Torino, oltre che di molti altri Comuni italiani.
Emerge con nettezza anche dall’analisi del debito che i problemi da risolvere sono di natura organizzativa e non contabile e che una gestione ordinaria unica potrebbe affrontarli in maniera più efficiente, senza impiegare energie per infiniti accertamenti e comunicazioni, come mostra l’intreccio normativo messo in piedi per rappresentare i risultati della gestione straordinaria.
Con il nuovo e recente decreto milleproroghe è stato stranamente approvato in via legislativa il Documento concernente l’accertamento del debito del Comune di Roma alla data del 30 luglio 2010, predisposto dal Commissario di Governo Domenico Oriani. Nell’ambito della novella del comma 196 dell’art. 2 della LF per il 2010 (legge 191/09) è stato infatti introdotto il comma 196-bis che, al quinto capoverso afferma, “Con provvedimenti predisposti dal commissario di governo del comune di Roma….., sono accertate le ulteriori partite creditorie e debitorie rispetto al documento …. predisposto dal medesimo Commissario, concernente l’accertamento del debito del comune di Roma alla data del 30 luglio 2010, che è approvato con effetti a decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto” (ossia dal 29 dicembre 2010). Il potere di accertare questo ulteriore eventuale debito era stato conferito al Commissario dall’art. 14, comma 13-bis, del decreto-legge 78/10, che stabiliva: “Il Commissario straordinario procede all’accertamento definitivo del debito, da approvarsi con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze”. Sulla base di questa disposizione il Commissario Domenico Oriani ha redatto il Documento di accertamento e lo ha inviato (con Nota 36 del 30 luglio 2010) al Ministero che, come previsto dalla vigente normativa, lo ha approvato con un decreto (4 agosto 2010).
L’accertamento del debito risulta quindi approvato, nel corso del 2010, ben due volte, dal ministro dell’Economia con decreto del 4 agosto e dal Parlamento, in sede di conversione del mille proroghe, con effetto dal 29 dicembre. Un segno evidente del processo di avvitamento normativo indotto dall’istituzione della gestione straordinaria.
Gli ulteriori accertamenti della situazione debitoria non richiederanno, allo stato degli atti, nuovi atti amministrativi. E’ stato infatti modificato dal mille proroghe anche l’art.13-bis del decreto–legge 112/08, disponendo che il Commissario straordinario, procede all’accertamento definitivo del debito e ne dà immediata comunicazione al Ministero dell’economia e delle finanze congiuntamente alle modalità di attuazione del piano di rientro”. Non c’è più, in altre parole, l’approvazione del ministero originariamente prevista, e che è stata alla base del decreto del 4 agosto 2010. Con nocumento quindi alla trasparenza del processo la cui documentazione già non è stato facile reperire.

L’intreccio inestricabile tra gestione straordinaria e gestione ordinaria

L’intreccio tra le due gestioni è molto forte ed è stata fonte di molte incertezze. Il debito era stato in prima battuta quantificato in 9,5 miliardi, proprio per effetto della confusione indotta dalla separazione delle gestioni. Nel distinguere per il 2008 i costi, di gestione e di investimento, caricati nella gestione commissariale, dalle entrate, che invece si facevano affluire alla gestione ordinaria, si causava uno sbilancio tra le due gestioni di 924,6 milioni di euro che, da una parte gravava la prima, portando il debito da 8,6 a 9,5 miliardi e dall’altra, migliorava  la seconda, consentendo al Consiglio Comunale di approvare il rendiconto 2008 con un avanzo di 699,5 milioni.
L’incertezza ha continuato a farsi sentire anche nel processo di approvazione del bilancio successivo (rendiconto 2009 e previsioni 2010).
L’avanzo di amministrazione contabilizzato del rendiconto dell’anno 2008 pari a 699,5 milioni di euro non aveva reale consistenza in quanto determinato dalla iscrizione in bilancio del credito della gestione ordinaria nei confronti di quella commissariale per 1,9 miliardi che, oltre ad essere stato, come si è detto, erroneamente calcolato, presentava problemi di esigibilità, non avendo la gestione commissariale adeguata liquidità. Per sbrogliare la matassa del bilancio comunale è stata necessaria la richiamata interpretazione autentica del decreto sulla finanza locale n. 2/2010 (articolo 4, comma 8-bis), che ha stabilito una più netta separazione tra la due gestioni e la previsione di un DPCM per fissare i nuovi termini per l’approvazione del consuntivo 2009 e del preventivo 2010 (poiché quelli previsti dal TUEL erano già decorsi).
Con questo nuovo quadro normativo e lo sblocco delle risorse finanziarie è stato finalmente possibile approvare il bilancio per il 2010 (5,4 miliardi, di cui 3,6 di parte corrente e 1,8 di investimenti). La manovra prevista, finalizzata a garantire l’equilibrio della gestione ordinaria, ammonta a 271,5 milioni di euro e include alcune disposizioni indicate nel decreto (aumento dell’ICI sulle case sfitte, per un importo di 18 milioni). La manovra prevede 85 milioni di interventi sulle spese (personale 35 milioni, sprechi 17 milioni, oneri del debito 33 milioni), 58 sulle entrate (di cui 21 di recupero evasione e 15 di aumento della COSAP, oltre alla già citata ICI) e ben 78 di entrate straordinarie. Si prevede inoltre l’introduzione di una tassa di soggiorno dal 1 gennaio 2011, da cui è previsto un gettito di 80 milioni.
La gestione ordinaria si conferma come il principale creditore della gestione commissariale, per un credito che il Comune deve dare a se stesso. Le ragioni del debito della gestione commissariale nei confronti di quella ordinaria sono molteplici: pagamenti commissariali anticipati dalla gestione ordinaria (13,9 milioni); ricapitalizzazione di Roma entrate SPA per l’acquisizione del ramo tributi GEMMA SPA (6,8); ricapitalizzazione AMA (61,7); ricapitalizzazione risorse per Roma (2,2); anticipazioni di cassa (599,1), pari in pratica alla metà dei pagamenti effettuati dal commissario straordinario fino al 26 luglio 2010; investimenti (79,0); entrate vincolate del bilancio 2008 non ancora riscosse (106,3). Per un totale di 869,3 milioni (di cui 255 rimborsati entro il 26 luglio 2010). L’elencazione parla chiaro. L’intreccio tra le due gestioni è inestricabile e il suo mantenimento produce inefficienza che si scarica sull’intero sistema amministrativo.

La vicenda contrastata dei commissari straordinari

Dal 4 luglio 2008 al 5 maggio 2010 commissario straordinario è stato, come si è detto, il Sindaco di Roma. Dal 5 maggio 2010, in attuazione del decreto sugli enti locali, è stato nominato commissario Domenico Oriani, già sub-commissario nel periodo precedente. Il 22 settembre 2010 con DPCM Oriani viene revocato e, contestualmente, viene nominato Massimo Varazzani, Ma Oriani non ci sta e ricorre al TAR del Lazio che, con sentenza 37085/2010 del 16 dicembre 2010, ha annullato l’atto di nomina del Varazzani. Questo forse spiega il contorto periodo del mille proroghe (art.2, comma 7) che prevede, per il commissario, “comprovati requisiti di elevata professionalità nelle gestione economico-finanziaria, acquisiti nel settore privato, necessari per gestire la fase operativa di attuazione del piano di rientro”. Sembra quasi l’identikit del Varazzani che viene nuovamente nominato commissario di governo con DPCM del 4 gennaio 2011. Ma i DPCM è noto, devono essere registrati dalla Corte dei Conti. L’organo di controllo contabile indugia anche perché l’avvocatura dello stato nel frattempo, con una nota del 24 gennaio 2011, suggerisce di non impugnare la sentenza del TAR Lazio, “non apparendo seriamente contestabili i vizi di illogicità della motivazione e di carenza dei presupposti censurati dal TAR”.
Il Varazzani è quindi immobilizzato e, non a caso, le rate dei mutui in scadenza a gennaio sono state pagate con fondi della gestione ordinaria. Sembra proprio la storia della mano destra e della mano sinistra che non riescono a coordinarsi.
Mani, peraltro, molto costose, soprattutto quella straordinaria. Il decreto mille proroghe si occupa anche delle “spese di funzionamento della gestione commissariale, ivi inclusi il compenso per il commissario straordinario”. “Le predette spese di funzionamento, su base annua, non possono superare i 2,5 milioni di euro”. Con DPCM è stabilito il compenso annuo del commissario straordinario, in misura tale da non superare “il costo complessivo annuo del personale dell’amministrazione di Roma Capitale incaricato della gestione di funzioni transattive”. Il Senato, che ha inserito questa disposizione, ha cercato di mettere un tappo al compenso del supercommissario. Un tappo grande in verità, anche se bisognoso di interpretazioni, forse pari alla massa stipendiale dell’intera Avvocatura Comunale. Altra norma di chiusura il Senato ha introdotto sulla indennità dei sub commissari, “non superiore al 50 per cento del trattamento spettante” ai soggetti chiamati a gestire un Comune in dissesto. E per entrambi ha imposto uno sconto di un ulteriore 50 per cento, per le attività svolte fino al 30 luglio 2010”.  “Le risorse destinabili per nuove assunzioni del Comune di Roma sono ridotte in misura pari all’importo del trattamento retributivo corrisposto al commissario straordinario di governo”, prosegue il milleproroghe. E alcuni quesiti vengono spontanei. Di quante decine di dipendenti comunali sarà necessario fare a meno per compensare adeguatamente il commissario? Perché per l’ufficio del commissario straordinario è necessaria una somma 5 volte superiore al costo dell’assessorato al bilancio del comune che, per anni, si è occupato di entrambe le gestioni? Ma gli uffici di Roma Capitale, magari potenziati, non potrebbero gestire, almeno in parte, queste attività, e non solo quelle di natura “meramente esecutiva e adempimentale”?

Epilogo

Quanti interventi del legislatore occorreranno ancora per dimostrare, al di là di ogni ragionevole dubbio, la ridondanza della separazione tra le due gestioni, l’impossibilità di distinguere nella storia amministrativa di un ente complesso come il Comune di Roma fra un prima e un dopo? Si è detto dell’inefficacia, della inefficienza, dei costi aggiuntivi prodotti. Ma la questione più sconcertante è che il punto di svolta venga individuato nientemeno che nell’alternanza di schieramenti diversi alla guida di una amministrazione locale, cioè nella fisiologia del confronto elettorale. Veramente incomprensibile, in un paese normale.

 

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