di ANTONELLA DE GIUSTI*

C’è un difetto di fondo nello sdoppiamento dei decreti attuativi per Roma Capitale, l’uno dedicato all’assetto istituzionale, l’altro alle funzioni e ai poteri. Ed è quello di concepire la ‘forma’ ben distinta dai contenuti effettivi. Ossia pensare, ad esempio, a una riduzione dei consiglieri o del numero dei Municipi prima ancora di stabilire l’effettiva entità e il ‘peso’ dei compiti trasferiti. Come si può ‘scindere’ in questo modo due elementi assolutamente connessi? La forma e il contenuto, appunto. Come si può decidere quale sia l’assetto ordinamentale appropriato a svolgere mansioni, attribuire funzioni, esercitare poteri, se questi si decideranno nei dettagli successivamente? È il primo paradosso, la prima vera e propria aporia di questo incerto percorso verso Roma Capitale.
L’altro punto debole è il carattere quasi esclusivamente giuridico-istituzionale che ha caratterizzato questo percorso legislativo. Un iter ‘compresso’ nelle sedi istituzionali, segnato dal conflitto aperto tra Regione e Comune, che affiderà a un ulteriore provvedimento regionale il compito di individuare le altre funzioni amministrative da trasferire a Roma Capitale. Tutto meno che un percorso partecipato. I cittadini poco ne hanno capito, se non il cambiamento di nome e la riduzione del numero dei consiglieri e dei Municipi. Una riduzione che, sganciata dal ragionamento sulle funzioni, è apparsa solo confacente al tema dei ‘costi della politica’, quasi un provvedimento punitivo verso la cosiddetta ‘casta’ locale. Quando invece si trattava di illuminare reciprocamente l’assetto e le funzioni, riduzione del numero dei consiglieri e nuove attribuzioni. Lo spirito doveva essere quello della razionalizzazione e del trasferimento di poteri, non quello della ‘compressione’ di numero della presunta ‘casta’ romana, come invece la Lega ha inteso far apparire. Tant’è vero che quest’ultima è l’ostacolo più grande dinanzi alla positiva conclusione del percorso legislativo.
Partecipazione, dicevo. Sarebbe stata necessaria per rendere meno asfittici i due decreti e per rendere più condiviso e condivisibile il percorso. D’altra parte, il primo decreto ha inciso sulla ‘carne’ dell’intelaiatura istituzionale romana, disponendo una riduzione del numero dei Municipi senza che si aprisse un dibattito effettivo, non solo all’interno del ceto politico, ma interpellando come si doveva i consigli municipali e i Presidenti. Di più, sarebbe stato utile aprire una discussione ancor più ampia, tra le forze vive della città, tra i cittadini, non per dare vita a uno sterile ‘assemblearismo’ ma per ‘impiantare’ il contenuto della legge e dei decreti attuativi direttamente nella nervatura dei nostri quartieri. Aver circoscritto agli ambienti istituzionali la discussione, con riflessi insufficienti sui quotidiani, ha prodotto un restringimento anche dei temi in discussione e dello stesso respiro del iter. La ‘istituzionalizzazione’ della legge ha soffocato il suo battito e, dunque, la sua efficacia futura.
La riduzione della questione dei Municipi alla ‘riduzione’, appunto, del loro numero ha ‘quantificato’ la questione e l’ha ridotta a problema connesso ai costi della politica. Punto. Un ragionamento più approfondito e meno succube del dibattito sulla cosiddetta ‘casta’ oggi avrebbe prodotto un intervento di ingegneria istituzionale più appropriato. Si sarebbe passati a considerare il ruolo, i compiti, le funzioni dei Municipi, non solo il loro numero e i loro costi spiccioli. Si sarebbe potuto affrontare il tema del ‘federalismo urbano’, affrontare nel vivo il tema dei comuni urbani e della futura città metropolitana, immaginare una vera, qualitativa!, modifica di assetto congiuntamente a compiti, funzioni e poteri da trasferire ai Municipi così ‘riassettati’. Si risponderà che questo è possibile, che sarà possibile quando il futuro Statuto di Roma Capitale affronterà il tema dei Municipi. È pur vero, ma intanto la riduzione c’è stata, e i decreti non hanno tenuto affatto conto di problematiche ‘federaliste’ di questo genere, convogliando il dibattito futuro sui binari dei ‘costi’ della politica piuttosto che su quelli della riforma istituzionale vera e propria.
Il carattere esageratamente istituzionale del percorso su Roma Capitale ha ingenerato un conflitto tra Regione e Comune che oggi non lascia tranquilli. È pur vero che la legge delega indica le materie in cui dovranno avvenire i trasferimenti, disponendo implicitamente che la Regione decida per le funzioni che le competano direttamente. Pur tuttavia, sinché il trasferimento delle funzioni regionali (talune di primaria importanza: urbanistica, trasporto pubblico, edilizia) non avverrà concretamente, il dibattito resterà aperto e i dettagli concreti di questo trasferimento saranno sempre soggetti a sussulti e ripensamenti interni al ceto politico.
Ma quel che manca davvero all’interno dei decreti è un riferimento alla semplificazione: di percorsi, di iter, di ‘passaggi’ tecnico-amministrativi. A Roma capitale poteva essere concesso di accelerare alcune procedure, snellendo il quadro senza tuttavia indebolire il potere di controllo dell’ente locale. Questo ‘alleggerimento’, questa semplificazione, avrebbe completato, e reso più efficace negli esiti, il binomio assetti-funzioni che i due decreti hanno comunque attivato. Trasferire i poteri senza prevedere le condizioni al cui interno quei poteri verranno esercitati (assetti), oppure definire assetti senza capire in funzione di quali concretissimi poteri, è comunque, in entrambi i casi, limitativo. Ma non mettere in discussione le procedure, ossia il modo esatto in cui dettagliatamente quegli assetti dispongono ed esercitano questi poteri è davvero un po’ miope. Spesso queste procedure, al fine della riuscita dell’iter, sono più importanti di chi decide e di cosa si sta decidendo.
Così come ragionare in termini di Roma Capitale, quale ‘lineare’ sviluppo del Comune di Roma, quasi un semplice cambiamento di nome, senza minimamente accennare al tema dell’area metropolitana, anzi riducendo una parte della questione al rapporto (conflittuale) tra Regione e Comune, senza toccare il problema della Provincia e della sua futura trasformazione, lascia davvero perplessi. Qui si legge la dimensione da topolino che i decreti hanno assunto dinanzi all’elefante che doveva partorirli e che si chiama riforma dello Stato e delle istituzioni. È pressoché certo che, in futuro, toccherà porre di nuovo mano alla materia di Roma Capitale, in particolare quando (quando…) una riforma forte, federalista degli enti locali diverrà materia del contendere più di quanto non sia ora, nell’attuale debolezza della politica nazionale.

*Presidente del Municipio Roma XVII

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