Il bel saggio di D’Angelis e Irace, ‘Il valore dell’acqua – Chi la gestisce, quanta ne consumiamo e come possiamo salvarla’, è un libro scientifico che si legge come un romanzo, fornisce molte informazioni alcune delle quali conosciute solo da un ristretto numero di addetti ai lavori.
Qualche esempio: l’età media  della rete degli acquedotti italiani è di 32 anni; alcuni risalgono al dopoguerra. Un terzo della rete è da sostituire. Perdiamo tra i 3 e i 4 miliardi di metri cubi l’anno di acqua potabile. Gli investimenti necessari per ridurre le perdite ammontano a 64 miliardi, da destinare agli acquedotti (al sud, per superare la discontinuità di erogazione) e alla depurazione (al nord). Per il mancato trattamento degli scarichi, siamo stati condannati dalla corte di giustizia per inadempimento delle direttive comunitarie: 159 agglomerati urbani sopra i 15.000 abitanti sono inadempienti. L’attuale livello delle dispersioni è inquietante: il 37% medio, con punte del 54% al sud. Per erogare 100 litri di acqua in Campania bisogna prelevarne 198; 168 nelle isole, 170 nell’Italia centrale, 164 nel nord orientale, 132 nel nord occidentale. Paragoni non sono possibili: la dispersione in Germania è pari al 7% e ha generato un vivace dibattito pubblico.
Il volume illustra con precisione l’evoluzione della normativa e della regolazione nel settore idrico, commenta la legge Galli e gli sviluppi recenti, sino al famigerato art. 23-bis.
Se la parte destruens è precisa, la seconda parte, propositiva, illustra tutti i piani esistenti per lo sviluppo della blu economy, ivi incluso il progetto federutility, fondato su tre pilastri:  fondi pubblici di accompagnamento e sostegno, hydrobonds e intervento della CDP, nuove tariffe idriche. Il quarto pilastro vede un convitato di pietra, l’Autorità nazionale. Poi evidentemente, vanno aggiornati i piani di ambito.
Il testo costituisce un’ottima base per comprendere la riforma, ovvero quell’art. 23 bis l.122/08 ora abrogato a seguito della consultazione refendaria. Riforma che, pur presentando aspetti positivi, era caratterizzata da numerosi punti oscuri, riconducibili principalmente a un equivoco di fondo: si concentrava sul dilemma proprietà (pubblica)/gestione (privata, in tutto o in parte – mediante società miste), per superare il conflitto di interesse implicito degli enti locali, ma perdeva di vista un terzo profilo del trilemma: il controllo, indipendente. Il tentativo in extremis di affrontare la questione mediante la previsione di un’agenzia ha finito per ricondurre la gestione delle risorse idriche nel più ampio dibattito relativo al tentativo del governo di mantenere il potere di controllo delle più recenti liberalizzazioni (poste, trasporto ferroviario e, appunto acqua) in cui alle autorità indipendenti (nuove o esistenti) sono state preferite agenzie governative, più o meno autonome. Altri profili di debolezza della riforma del 23 bis, che emergono sullo sfondo in questo volume, e in modo più diretto in un recente saggio di De Vincenti (nel volume ASTRID ‘I servizi pubblici locali tra riforma e referendum’) consistevano: (i) nel carattere non vincolante del parere dell’AGCM sulle deroghe ammissibili; (ii) nella deroga per il settore idrico riconducibile a ‘specifiche condizioni di efficienza’; (iii) nella possibilità, con la gara a doppio oggetto, di delimitare il ruolo del socio a specifici compiti operativi; (iv) nella possibilità, per le società quotate, di evitare del tutto il confronto competitivo, mantenendo l’affidamento diretto sino alla scadenza naturale, a condizione di ridurre la partecipazione pubblica al 40% entro il 30 giugno 2013 e al 30% entro il 31 dicembre 2015; (v) nella soppressione delle autorità d’ambito, che crea un vuoto ulteriore sul piano del controllo.
E ora, che fare? Il referendum ha spazzato via il 23 bis, lasciando aperti alcuni temi urgenti (le società quotate, come ACEA o A2A, che hanno avuto l’affidamento senza gara, sono attualmente prive di copertura normativa, poiché l’affidamento in house torna ad essere consentito solo alle società controllate al 100% dall’ente locale o che garantiscono il controllo analogo secondo i principi elaborati dalla giurisprudenza comunitaria). Questo consente un ripensamento dell’intera riforma, che pur rispettando i ‘paletti’ imposti dal referendum, consenta di avviare quegli investimenti infrastrutturali ormai improrogabili. Le linee guida, già tracciate da vari commentatori sono: (i) creare un’autorità indipendente – ancora più necessaria dopo la nuova legittimazione referendaria dell’in house – in grado di regolare la materia attraverso un potere regolamentare, intervenendo anche sugli standard di qualità, sulle metodologie di prezzo, sulla diffusione e la trasparenza delle informazioni, e supportando tecnicamente gli enti locali nella predisposizione di bandi di gara e contratti di servizio (l’asimmetria informativa è altrimenti inevitabile e decisiva); (ii) ricostituire le autorità d’ambito, rafforzandole; (iii) rivalutare il ruolo dello stato e degli enti locali ai fini dello sviluppo infrastrutturale, che deve essere realizzato a questo punto direttamente o coinvolgendo investitori di lungo termine (dalla CDP ai fondi sovrani), nonché utilizzando al meglio i fondi europei (circa 60 miliardi per i sei anni, in buona parte utilizzabili a questi fini).
Fabio Bassan

Il valore dell’acqua. Chi la gestisce, quanta ne consumiamo e come possiamo salvarla
Alberto Irace, Erasmo D’Angelis
Dalai Editore 2011
€ 19,00
494 pagine

 

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